Trans Portrait of Feminine: la voce delle identità transfem e transmasc

Trans Portrait of Feminine è un progetto fotografico nato a Padova a febbraio del 2024, a cura dei membri del collettivo Progetto Tiresia e della fotografa Alessia De Gaspari. L’intento è dare visibilità alle persone transfem* e transmasc*, mettendo a disposizione della comunità la prospettiva e l’esperienza che fa del mondo chi non rientra nella dicotomia uomo-donna.

Inaugurato di proposito in occasione della giornata dell’8 marzo per aprire l’orizzonte a nuove riflessioni e dibattiti, il progetto riflette sul concetto di discriminazione oltre i confini del binarismo di genere, che rappresentano un nodo intricato nella trama sociale. La serie di scatti mette in primo piano le esperienze di sette persone transfem e transmasc che, attraverso una serie di ritratti fotografici realizzati da Alessia De Gaspari e un’intervista con Progetto Tiresia, si raccontano e condividono alcune riflessioni sul movimento femminista e le identità trans.

Prima di entrare nel vivo di Trans Portrait of Feminine è giusto dare una cornice e fare alcune premesse rispetto al tema trattato. 

Cos’è il Progetto Tiresia e di cosa si occupa?

Nasce nella primavera del 2022 dalla spinta propulsiva di un gruppo di persone attiviste e transfemministe. Con formazioni molto differenti tra loro, sensibili ai linguaggi artistici e alla comunicazione inclusiva, hanno dato il via ad uno spazio safe di riflessione accoglienza e critica attorno ai temi degli stereotipi e ruoli di genere. L’approccio intersezionale ha allargato poi il campo a tantissimi altri argomenti, ognuno trattato e veicolato attraverso il mezzo dell’arte e della cultura. Tra reading teatrali, performance, mostre fotografiche, formazioni e talk, divulgazione di letteratura specifica transfemminista e di storia dell’arte con focus sulla rappresentazione LGBTQIA+, il Progetto Tiresia vuole creare un ambiente più accogliente, consapevole e accessibile possibile, mirando al depotenziamento della cultura normata patriarcale.

Qual è stata l’urgenza che ha portato alla realizzazione di Trans Portrait of Feminine?

La struttura della società, rigidamente ancorata a un sistema che riconosce solo due generi ben definiti: maschile e femminile. Dunque relega coloro che si discostano da questi schemi a un’oscura periferia. Questo sistema, basato sulla presupposizione che il genere sia stabilito dagli organi genitali e accompagnato da stereotipi e aspettative, castiga severamente chi osa infrangere queste norme. All’interno della vasta comunità LGBTQIA+, le persone transgender, non binarie gender non conforming, si trovano ad affrontare ostacoli ancora più intricati. Spesso escluse e maltrattate, perfino all’interno di ambienti che dovrebbero sostenerle, queste persone sono vittime di un’immagine distorta e spesso pericolosa. In Italia, ad esempio, il numero di omicidi contro individui transgender è allarmante. Purtroppo questo dato potrebbe essere ancora sottostimato perché riferito solo ai casi riportati. Dal 2008 al 2020 sono quarantadue gli omicidi di persone trans commessi sul nostro territorio.

Oggi, le persone trans si trovano in una situazione analoga a quella in cui vivevano le donne in passato. La loro identità è spesso negata o distorta dalla società, vista e raccontata attraverso una lente cis. Proprio come le donne, le persone trans stanno lottando per riappropriarsi del proprio immaginario simbolico e poter autodeterminare e affermare la propria identità. L’esplorazione condotta tramite le fotografie delle sette persone che hanno partecipato come testimoni a Trans Portrait of Feminine e le interviste associate ad esse costituiscono un’azione politica e artivista chiara, che si pone come risposta al bisogno di autodeterminazione e rappresentazione.

Perché è importante che questo tipo di progetti artistici vengano valorizzati in occasioni quali il TDoV?

Nella Giornata internazionale della visibilità transgender (TDoV) si dà rilevanza alla rappresentazione positiva della comunità, celebrando la propria identità anche attraverso la condivisione di storie. È un momento di riappropriazione degli spazi pubblici, di orgoglio e di valorizzazione, di promozione di azioni concrete supportate anche dalle persone alleate. Il TDoV è stato fondato nel 2009 da Rachel Crandall, attivista transgender e co-fondatrice di Transgender Michigan, con la necessità di avere una giornata che celebrasse la vita e i successi delle persone transgender. Si differenzia chiaramente dal Transgender Day of Remembrance, che cade invece il 20 novembre e si focalizza sulla commemorazione delle vittime di transfobia. Attraverso Trans Portrait of Feminine, il Progetto Tiresia si è interrogato su come poter supportare le persone trans per il loro diritto all’autorappresentazione. L’immagine potente dei ritratti realizzati normalizzano storie non sufficientemente raccontate che in giornate come il TDoV possono diventare simboli di identità e di realtà. In più, si è redatto una linea guida di azioni utili per orientare chi voglia prender parte concretamente ad un cambiamento sociale, rendendosi maggiormente consapevole e responsabile.

Trans Portrait of Feminine: i ritratti e le interviste

Il progetto Trans Portrait of Feminine ha preso forma dalla collaborazione con la fotografa Alessia De Gaspari, la make up artist Chiara Ieranò e dalle persone volontarie che hanno posato per gli scatti: Elios, Guido, Silvia, Charlie, Sun, Gaia e Selva. Gli scatti sono accompagnati da un’intervista rilasciata da ciascuna di loro dove raccontano la propria relazione con gli ambienti femministi. 

Ecco alcuni scatti ed estratti delle interviste:

Elios

Trans Portrait of Feminine mostra fotografica ritratto di Elios

«Sono Elios, ho 23 anni e sono una persona queer e agender.

Ho iniziato a frequentare spazi femministi nel 2018, l’anno in cui ho iniziato l’università, che è anche l’anno in cui ho fatto coming out come persona non binary. Forse perché non ho mai vissuto questi spazi come donna o persona femme, non ho mai sentito come mia la parola “sorellanza”, perché dentro alla mia testa lo associo a concetti legati al femminile, che non sento molto vicini alla mia persona. Non ho mai sentito di far parte di qualcosa chiamato “sorellanza”. Però ho avuto esperienze positive all’interno di spazi transfemministi, a parte in alcuni casi in cui ho sentito di dover creare per me uno spazio dato che non esisteva già precedentemente, ma una volta creato mi sono sentito più a mio agio.

Il femminismo più essere più inclusivo anche dando più spazio di parola a persone transmasc e transfemme durante eventi e giornate – come anche quella dell’8 marzo – si riesce ad essere più inclusivi perché spesso non si parla neppure di invisibilizzazione della nostra parola e della nostra presenza: proprio non ci siamo, non siamo chiamatə in causa.»

Charlie

Trans Portrait of Feminine mostra fotografica ritratto di Charlie

«Ciao, mi chiamo Charlie, sono una persona trans non binaria e uso pronomi maschili e neutri.

 Sento molto vicino il concetto di “sorellanza”, me ne sento parte essendo stato socializzato come donna per gran parte della mia vita. Mi rendo conto di essere ora spesso percepito diversamente, sia dai movimenti femministi che dal resto del mondo, e mi chiedo continuamente come essere attivamente femminista da persona non-binary spesso percepita come maschio. Nei miei confronti ho sempre sperimentato inclusione, forse proprio per aver condiviso una quotidianità “da donna”, ma vedo spesso ostilità verso le persone trans femme, binarie o non binarie che siano. Non sempre è ostilità esplicita, ma anche il “semplice” non parlare delle loro situazioni, come fossero invisibili, è ostilità.

Il femminismo può essere più inclusivo riconoscendo come il patriarcato sia un problema per tuttə, non solo per le donne cis; supportando le persone trans nel portare le loro istanze senza parlare per loro, ma amplificando le nostre voci. I movimenti femministi raggiungono spesso un numero di persone maggiore rispetto ai movimenti trans»

Selva

Trans Portrait of Feminine mostra fotografica ritratto di Selva

«Sono Selva, pronomi maschili e femminili. Sono una persona “butch non binaria transmasc”… che poi vuol dire tutto e niente. Sono Selva. Punto. E non perché “alla fine siamo tutte diverse a modo nostro, viva l’amore (finché non sfocia in adozioni monogenitoriali)” ma proprio perché Selva è il nome che io ho scelto per me, e in questo nome c’è la mia identità.

Sono sempre stato femminista, ma ho cominciato attivamente a frequentare ambienti femministi da quando ho capito di essere una persona queer, perciò non ho mai avuto esperienza di spazi che fossero trans-escludenti: forse è più corretto dire che, avendo sempre fatto attivismo queer, ovviamente era anche attivismo femminista, e quindi sia io che le persone con cui lotto, legano fortemente la loro identità di genere, il loro orientamento sessuale, alla lotta transfemminista.

Anche il mio concetto di sorellanza quindi non è cambiato in relazione alla mia identità di genere. Sono una persona non binaria, e anche se un tempo usavo pronomi più neutri, ho comunque sempre avuto una espressione di genere mascolina, uso per lo più il maschile, a settembre farò la top surgery, non escludo che in futuro vorrò fare anche altro per affermare la mia identità, però questo non cozza col fatto che io mi sento comunque una “sorella di lotta”. Fratellanza, per il retaggio patriarcale che si porta dietro, è un termine che associo ancora a cose negative… sorellanza no, è una parola bellissima.

Aldilà del tuo genere, se mi sento in comunione con te sei una sorella, tanto che spesso senza volerlo misgendero le persone perché se una persona mi piace, uso il pronome femminile. È più un titolo onorario, mettiamola così. La “sorellanza” è un modo di vivere in relazione con le altre e gli altri, fare rete, prendersi cura e ampliare la propria comunità, accogliere, proteggere… ciò detto, sappiamo tutte che nella mia famiglia d’elezione io sono il papà che aggiusta mobili e viene a prenderti in discoteca alle 3 di notte.

Io sento che ci sono molte persone trans attive nel movimento femminista, il problema è la rappresentatività e la rappresentazione trans nell’immaginario collettivo sul femminismo. Le donne cis compongono penso un terzo di tutte le persone, che non sono uomini cis, che vengono oppresse dal potere maschile, ma a livello di media tradizionali (tv, pubblicità varie, riviste da leggere mentre aspetti il dentista) di base l’8 marzo è solo delle donne cis. Ma l’Italia su certe questioni è indietro, non mi aspetto che dopodomani la collettività assocerà il femminismo subito alla comunità trans, l’importante per adesso è che ci sia coesione dentro al movimento, rappresentatività e voce DENTRO al movimento, in modo che il femminismo abbia la lotta trans nel suo nucleo di valori… e col tempo non dubito ci sarà una evoluzione spontanea della cosa e diventerà una “common knowledge”.

Di sicuro rispetto a qualche anno fa nel movimento c’è una voce trans più forte: noi siamo già il movimento femminista. Bisogna solo continuare: la gente fa qualcosa per te se tu entri e chiedi. Stare sedute in casa, senza fare niente, sperando che qualcuna prenda in mano i tuoi diritti è una utopia. Se vuoi qualcosa devi prendertelo, soprattutto se tu hai più privilegi di altri del tuo gruppo.

Se hai la cazzimma devi andare. Se non lo fai tu, chi lo fa?»

Silvia

mostra fotografica ritratto di Silvia

«Sono Silvia, ho 25 anni, mi identifico come persona non binaria e uso pronomi tendenzialmente femminili, ma anche maschili e neutri, un po’ in base a come decide di stare la mia disforia quando mi sveglio al mattino.

Parlando della mia esperienza all’interno del movimento femminista, mi sono sentita “esclusa” perché molto spesso in questi spazi ci sono gruppi già formati, quando però non ho iniziato a portare la mia esperienza all’interno di questa collettività, allora sono sentita parte di questa sorellanza.

Faccio attivismo da diversi anni per realtà femministe e transfemministe. Ho notato differenza sperimentando questa scelta in primis come donna e poi come persona non binaria. Per me è una continua lotta interiore, in quanto non mi sento totalmente parte integrante del genere che mi è stato assegnato alla nascita, ma allo stesso tempo quel genere che spesso ripudio ha anche tanta voglia di essere rivendicato. Per cui sarebbe bello se entrambe le cose potessero coesistere nello stesso momento, al contempo mi rendo conto che bisognerebbe prima fare dei grandi passi in avanti per far si che tutte le figure a livello societario siano messe sullo stesso piano e razionalmente mi rendo conto che se non viene fatto un “lavoro di squadra”, formando chi abita questi spazi, su queste tematiche, difficilmente si possa pensare di avere totale inclusione se diamo per scontato che la nostra identità venga riconosciuta.»

Guido

Trans Portrait of Feminine mostra fotografica ritratto di Guido

«Ciao sono Guido Sciarroni, attore e performer e faccio parte del Progetto Tiresia. In questi movimenti è sempre stato difficile, in passato, trovare uno spazio dove potersi sentire riconosciuto. Mi sentivo un’alleata, ma sapevo che ero lì anche per ritrovare me stessa. Questo sentirsi fuori luogo è stato un sentimento comune per le persone nonbinarie per molto tempo. Solo grazie alla mia famiglia queer ho capito cosa significa sorellanza.

I movimenti femministi dovrebbero intanto iniziare dal riconoscere l’esistenza delle persone non binarie e dare il giusto peso alla loro esperienza del femminile, perché sono esperienze stratificate, che possono rendere il percorso di crescita e consapevolezza popolare ancora più ricco e vario. Dovrebbero inoltre smetterla di riconoscere i movimenti femministi trans escludenti. Terf merda per sempre.>>

Sun

Trans Portrait of Feminine mostra fotografica ritratto di Sun

«Ciao bellissima creatura che stai leggendo! Mi chiamo Sun, sono una persona trans non binary e utilizzo i pronomi they/them. A furia di costruire e decostruire la mia identità ho compreso che invece di utilizzare troppe etichette preferisco essere e basta. Essere Sun, il nome che rappresenta la mia complessa poliedricità in quanto sono una persona solare, calorosa e piena di positività oltre che un attento attivista, un mangiatore compulsivo di hummus homemade e un sognatore ottimista.

Sarò franco: per me il femminismo deve essere intersezionale e dunque essere consapevole delle diversità e varietà identitarie presenti. La sorellanza è una forma di forza che a mio avviso può essere rivendicata da donne cis, donne trans, uomini trans, persone non binarie, persone che hanno decostruito il proprio maschio interiore e persino persone che non lo hanno (ancora) fatto ma sanno cosa sia il rispetto e la cura degna del nome sorella.

Indipendentemente dalla mia identità di genere, nei contesti di manifestazioni, marce, cortei e cori, non ho problemi a definirmi “sorella”. Purtroppo o per fortuna, nel mio corpo c’è una memoria collettiva di violenze, abusi, imparità e discriminazioni che centinaia di migliaia di consorelle hanno passato e questo è scritto sulla mia pelle, non su quella di un uomo cis.

Nel tempo però, ho percepito un netto cambiamento nell’approccio di alcune persone che si definiscono femministe con la mia affermazione di genere.

Se prima il mio aspetto femminile mi permetteva il privilegio di essere dentro la cerchia del femminismo più “”puro””; ora, nell’avere sempre più passing maschile, ho percepito più astio in certi contesti, più distacco e meno sicurezza quasi come se fossi un nemico.

Tuttavia…non sarà il mio corpo “non – più – femminile” a creare scompenso all’interno della lotta comune verso lo smantellamento del tanto odiato cispatriarcato.

Infine, per quanto io possa marciare con un corpo trans.. sono fermamente convinto che la mia rabbia sia Sorella. La mia vagina sia Sorella. La mia volontà di cambiare il sistema sia Sorella.

Per me le nuove correnti di femminismo dovrebbero prestare molta più attenzione alla narrativa che scelgono di utilizzare.

Se l’obiettivo è proprio quello di lottare contro le violenze, gli abusi, le discriminazioni, i gender gap… perché contendersi tra realtà simili e farsi la guerra tra identità che desiderano la medesima caduta del sistema patriarcale?

Molte persone trans non si sentono incluse in questa narrativa e rischiano di doversi difendere da accuse molto spesso anche invalidanti come la questione di non essere “abbastanza donna” se non si hanno dei genitali che raccontano una storia di sofferenza…

Non si tratta di qualcosa che resterà così, lo so. Ci vuole tempo, rivoluzione generazionale e tanto dialogo e confido che troveremo il modo di convergere verso ciò!»

Gaia

mostra fotografica ritratto di Gaia

«Sono Gaia. Nella mia vita mi sono sempre sentita strana. Strana e troppo “piantagrane”. Sollevare questioni molto spinose, sempre, rispondere alla violenza, sempre, e non nascondermi mai mi è costato. Spesso mi ha isolato, ma la parte peggiore è che mi hanno spesso fatto sentire strana per il solo fatto di farlo.

Quando ho scoperto la comunità queer, mi ha inglobato e accolto: da quel momento in poi niente di quello che ero è sembrato più sbagliato, tutto quello che era sempre stato strano prima, era amato. Io, ero amata.

Il mio ingresso nella comunità transfemminista e queer coincide col momento in cui io ho iniziato a provare orgoglio, orgoglio vero. Ha instillato in me quella dignità che mi ha permesso di vivere tutto quello che non avevo vissuto per una vita.

Probabilmente questo è vero solo per le realtà più centrali dove le lotte per i diritti sociali hanno guadagnato più terreno, ma le realtà di attivismo in cui sono stata immersa qui nella mia casa di adozione, Padova, negli ultimi anni hanno sempre fatto tanto per ricordare a sè stesse e al mondo esterno, sempre, che le persone trans ci sono e sono sempre state, in prima linea nella lotta dei diritti.

Il concetto di sorellanza è una cosa che ho sempre sentito mia come persona trans, perché il tipo di oppressione che vivono le persone trans e le persone socializzate come donne, alla radice, sono le stesse. E credo che la comunità T lo abbia sempre saputo.

Come detto, io ho avuto un’esperienza eccezionalmente positiva nel movimento femminista, ma so anche che è stata un’esperienza privilegiata. La maggior parte delle persone non ha accesso ad ambienti safer, fluidi e liberi, dove nessunə è stranə e nessunə è normale.

Me lo ricordo in particolare ogni volta che torno alla mia città di origine, a cui tengo molto, che la nostra è una bellissima ma piccolissima bolla.

Nella maggior parte dei luoghi, anche luoghi dichiaratamente femministi o LGBTQIAPK+, le persone trans sono ancora troppo poco rilevanti e considerate.

Per quanto sia impegnativo quello che facciamo ogni giorno, non dimentichiamoci proprio delle realtà più piccole, dove le risorse e la forza dei numeri sono minori e le conquiste più difficili, della realtà delle province e di tutte le persone che non hanno avuto il privilegio di sentirsi al sicuro, visibili, come donne, come persone trans e come esseri umani.»

Il Progetto Tiresia e la lotta intersezionale

Il primo punto del Manifesto del Progetto Tiresia afferma: “La lotta è reale solo se è intersezionale. Non possiamo abbattere le disuguaglianze se noi per prime saliamo sul piedistallo. Non possiamo portare avanti la lotta per l’uguaglianza di genere senza tener conto dei sottogruppi discriminati, non possiamo privilegiare una parte della società a scapito di un’altra.”. Questo valore muove tutto ciò che viene realizzato dal collettivo e questo nuovo progetto fotografico ne è il risultato.

👉 Per approfondire
📖 Manifesto del Progetto

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