BIENNALE DI VENEZIA 2024: I VINCITORI DEL LEONE D’ORO

La Biennale di Venezia 2024Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere“, curata da Adriano Pedrosa, ha già battuto tutti i record di visite nei primi giorni di apertura.

Incentrata sulla definizione appunto di “straniero“, la Biennale di quest’anno vuole dar spazio a quegli artisti che di solito faticano a calcare i palcoscenici internazionali, come gli appartenenti a popolazioni Indigene e le persone Queer. Massima visibilità, inoltre, è data a temi scottanti come l’omofobia e il colonialismo.

Non a caso, i vincitori dei due Leoni d’Oro (al miglior padiglione nazionale e al miglior artista indipendente) sono stati assegnati a un gruppo di artisti Indigeni provenienti rispettivamente da Australia e Nuova Zelanda. Scopriamo di chi si tratta!

Archie Moore: il suo Padiglione Australia vince il Leone d’Oro alla Biennale

È stato proprio un artista Indigeno a vincere il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia 2024 per la miglior partecipazione nazionale. Sto parlando dell’artista Aborigeno Archie Moore e della sua personale presso il padiglione Australia, curata da Ellie Buttrose, che gli è valsa il premio più importante.

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Archie Moore e la curatrice Ellie Buttrose ritirano il Leone d’Oro

L’opera di Moore, intitolata Kith and Kin, parla di 65.000 anni di storia aborigena e di concetti non lineari di tempo e luogo. Sulle pareti nere del padiglione, l’artista ha meticolosamente disegnato col gesso l’albero genealogico della sua famiglia. Racchiude migliaia di generazioni che ci hanno preceduto, per poi riversarsi sul soffitto dove i nomi diventano una sorta di stelle in un cielo notturno infinito – richiamando al concetto di Dreamtime così caro agli Aborigeni australiani.

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Dettaglio dell’installazione Kith and Kin

Sotto questo intricato insieme di vite c’è un tavolo bianco su cui poggiano impilati centinaia di documenti che attestano la morte di persone Aborigene. Tra questi ci sono i rapporti redatti dal tribunale dei 557 Aborigeni che sono morti in custodia e nelle carceri da quando la commissione reale del 1991 ha emesso 339 raccomandazioni progettate per prevenire questo tipo di tragedie.

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I documenti sul tavolo bianco parte dell’installazione Kith and Kin

Nonostante oggi la frase ‘kith and kin’ significhi semplicemente ‘amici e famiglia’. nell’Inglese del 1300 kith significava “la propria terra natale”, mentre kin “membri della famiglia”. Molti Aborigeni australiani considerano la loro terra, che chiamano Country, e gli altri esseri viventi come parte dei loro sistemi di parentela: la terra stessa può essere un mentore, un insegnante, un genitore. Il senso di appartenenza e il legame con la propria terra è totalizzante, profondamente radicato nella vita di una persona–dalla nascita alla morte, ed è comune a molte altre culture Indigene.

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Archie Moore all’interno del “suo” Padiglione Australia

È la prima volta che l’Australia vince il Leone d’Oro in 60 anni di Biennale, e il fatto che lo abbia vinto un artista Aborigeno che con le sue opere denuncia l’impatto del colonialismo è assolutamente significativo.

Mataaho Collective: 4 artiste Māori vincono il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia

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Tre artiste del Mataaho Collective ritirano il Leone d’Oro

Un gruppo di artiste Indigene ha vinto il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia 2024 per il miglior artista partecipante alla mostra internazionale Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere. Mi riferisco a Mataaho Collective, un collettivo nato nel 2012 e composto da 4 artiste Māori che producono installazioni su larga scala e la cui pratica artistica è strettamente collegata alle tradizioni del loro popolo.

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Particolare dell’opera Takapau

Takapau è la monumentale installazione del collettivo neozelandese che apre la Mostra Internazionale Stranieri Ovunque all’Arsenale. L’opera, che richiama le stuoie tradizionali chiamate appunto takapau, è realizzata con un meraviglioso intreccio di fasce in poliestere tese attraverso tiranti disposti lungo le pareti. La luce ha un ruolo da protagonista perché filtra attraverso le spesse fasce in poliestere e proietta sul pavimento, sulle pareti e sui visitatori una sorta di grande stuoia ombrosa – che avvolge tutto e tutti come un abbraccio materno.

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Particolare dell’opera Takapau

Non a caso, le stuoie takapau sono utilizzate dalle donne Māori prevalentemente durante il parto. L’opera di Mataaho Collective è un richiamo alla tradizione matrilineare dei tessuti, e può essere interpretata sia come una cosmologia-una sorta di cielo stellato, sia come un rifugio, un grembo materno in cui sentirsi sicuri.


La vittoria di Mataaho Collective, assieme a quella del Padiglione Australia con la personale di Archie Moore, evidenziano un crescente interesse verso un tipo di arte che, da un lato, richiama le tradizioni più antiche dei popoli Indigeni e, dall’altro, denuncia un passato coloniale fatto di secoli di soprusi e negazione delle proprie culture.


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